Lunigiana: tre amori in un'unica terra.
Ho una cicatrice
sul polso destro. Si può vedere chiaramente solo d’estate quando la mia pelle
diventa più scura e quei tre buchi rimangono più chiari. Un buco più grande e
profondo e due più piccoli. Ricordo perfettamente dove e chi me l’abbia fatta e
ogni volta che la vedo sorrido e sospiro.
Tre cose amavo
disperatamente da bambina (e amo tuttora!): gli animali, il mare e stare in
mezzo alla natura.
Tutto questo lo
potevo trovare nel mio luogo del cuore: la Lunigiana.
Per chi non lo
sapesse è una piccola regione storica situata tra la Toscana, la Liguria e l’Emilia
Romagna. È spettacolare dal punto di vista storico, del cibo e dell’arte, delle
sagre di paese, dei racconti e delle leggende.
Ma più che tutto
questo per me era il posto della libertà, delle estati dei raccolti, dei bagni
nel fiume, della case dai grandi giardini e degli animali.
L’andare a
trovare i parenti per me non era una noia, ma un viaggio bellissimo. Le famiglie
d’origine dei miei nonni contavano circa dieci e più persone tra fratelli e
sorelle. E ognuno aveva la propria famiglia con le varie abitazioni dislocate
da nord a sud della Lunigiana.
Alcuni vivono vicinissimi al mare e quelle diventavano le giornate trascorse sulle varie spiagge
tra le Cinque Terre e Marina di Carrara. Spiagge (allora!) meno affollate e
strutturate della Romagna, dove la sabbia era più spessa e a pranzo si mangiava
in pineta con le focacce e il vino portati da casa (tavolino pieghevole e borsa
frigo forever!) e la sera poi, con ancora la sabbia e l’acqua di mare tra i
capelli, si andava salutare zii e cugini, cenando al tramonto col rumore del
mare sullo sfondo e a me che sembrava strano che loro durante il giorno potessero
lavorare chiusi in ufficio e i loro figli poi andare a scuola, perché per me la
casa vicino al mare significava solo vacanza mare e sole e faticavo a
immaginarli d’inverno!
Altri sono nelle zone più interne e montuose, più in alto. Lì mi piaceva di meno perché io
già abitavo in montagna in Alto Adige e lo detestavo. Però amavo l’andare con loro
alle sagre e soprattutto alle Feste de l’Unità, (che per me, da bambina, era la Festa
Dellunità) dove mi perdevo a guardare la naturalezza dei nonni e dei loro
fratelli anziani con cui ballavano il liscio (con lo sguardo di chi ne ha
passate tante ma sa ancora godersi i momenti di svago) mentre mangiavo sgabei e
panigacci e vincevo imbuti, porcellane e palloni Super Tele alla pesca di beneficenza. E poi quanti
racconti di quei luoghi all’ombra dei castelli della valle! Leggende, storia,
arte, caratteristiche che ho iniziato ad apprezzare da ragazza.
E poi, i parenti
che vivono nei luoghi che amavo di più come niente mai: le fattorie. I luoghi
dove ho imparato a salire sugli alberi, a raccogliere le pannocchie di mais e
sgranarle per dare da mangiare alle galline e alle oche, e a conoscere gli
animali. Non mi sembrava vero poter vedere nascere vitelli e puledrini. Ricordo
anche l’emozione fortissima un mattino di aver visto anche i cuccioli del
cinghiale, e un po’ meno felicità negli occhi dei miei parenti che quella notte
dovettero andare a controllare che non
avesse rotto le barriere. Una lotta tra cinghiali e volpi la loro.
Anche il lupo, come nelle favole, arrivò un giorno.
Ne parlarono anche i giornali, io non dissi nulla ma ero contenta, perché a me i lupi piacevano:)
Anche il lupo, come nelle favole, arrivò un giorno.
Ne parlarono anche i giornali, io non dissi nulla ma ero contenta, perché a me i lupi piacevano:)
Ma soprattutto
amavo giocare con i cani. Tanti cani. Bellissimi. Figli di amori clandestini e
spontanei. Per me abbracciare un cane e sentirne l’odore del pelo selvatico e
leggermente sporco di terra è una Madelaine proustiana troppo bella e troppo
forte ancora oggi!
Come la mia cicatrice.
Lui era un
pastore tedesco di quaranta chili. Era vecchiotto. Ma giocava sempre con me. Si
chiamava Ringo. Un giorno ho esagerato. Ero piccola. Penso di avergli fatto
male. E lui, delicatamente, mi aveva preso il polso col la bocca. Mi aveva
detto di smetterla, stringendo un pochino, come avrebbe fatto con dei cuccioli.
Io mi sono spaventata e ho dato uno strattone forte. In pratica è come se mi
fossi fatta male da sola. Ringo si è subito tirato indietro e mi ha guardata,
dispiaciuto.
Sono riuscita a
tornare da lui solo dopo due giorni.
Ma non l’ho più
lasciato.
Ci sono legami
che non si spezzano.
Come l’amore per
quella terra, dove torno sempre con infantile piacere.
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