Storia di un amore struggente adolescenziale (ovviamente platonico, ovviamente finito male…)
Isola d’Elba, fine anni
’90, ricordo che i miei genitori e la loro compagnia di amici chiamavano me e
i miei amici “La Compagnia della Muffa”. Perché? In due settimane di mare (all’Elba,
mica a Gatteo Mare!) facemmo il bagno sì e no due volte. Non si stava in
spiaggia, non si stava in costume, ma si doveva stare rigorosamente su una
panchina scomoda vicino al bar, all’ombra, a fare la muffa!
Almeno avevamo una
colonna sonora data dalla filodiffusione del bar con il juke box, ma anche
dalla chitarra di alcuni di loro. Quell’anno, con i miei pantaloncini di jeans
(che erano anche i pantaloncini cosiddetti “da ciclo” in spiaggia), la maglia
over size della Think Pink e i capelli lunghi tinti di biondo, mi innamorai
perdutamente di Lui! Lui non faceva proprio parte della compagnia della muffa,
era un po’ un outsider, una specie di Wolverine rispetto alla scuola di Xavier.
Romano. Più grande di me quel tanto che bastava da mettere una distanza
siderale. Assomigliava in modo impressionante a A.C. Slater di Bayside School
(che tra l’altro stava con Jessie :D) Persi completamente la testa. Aveva un
grado di maledetta figaggine altissimo: era pluribocciato, suonava la chitarra,
fumava (Philip Morris), faceva battute da fratelli Vanzina e si vestiva male.
Che poteva chiedere di più un’adolescente come me?
Ricordo che andavo alla
cabina del telefono del campeggio a fare telefonate interminabili con la mia
amica di Bolzano parlandole di lui. Poi finivano i gettoni e finiva pure lo
struggimento via cavo.
Ma non quello dell’animo!
Oh, come mi piaceva tormentarmi con la “nostra” canzone mettendo gettoni nel
juke box. Mia e dei miei film mentali. ("Wonder" DJ Cerla & Moratto)
Quando la sera uscivo a cena con i miei genitori, e non potevo sperare di trovarlo al solito posto, tenevo un muso plateale. Nessuno lì capiva la mia sofferenza!
Quando la sera uscivo a cena con i miei genitori, e non potevo sperare di trovarlo al solito posto, tenevo un muso plateale. Nessuno lì capiva la mia sofferenza!
Finalmente una sera si
accorse della mia esistenza e diventammo amici, ma la sera dopo lui “si mise”
con una tedesca (Ma porca eva pure a 500km da casa mia le tedesche biondognokke
dovevano rovinarmi la piazza!!!) e se io avessi avuto Facebook avrei fatto
mille status tipo il lirico “l’amore fa sanguinare quel che resta del mio cuore”
o il meno lirico “le tedesche sono tutte z***”.
Ci volevano più
autostima (che non avevo!), più perseveranza (non avevo scelta più che altro!) e
più gettoni per il juke box!
Finalmente la tedesca
se ne tornò da dove era venuta e Lui (gli ultimi tre giorni) fu tutto per me,
laddove tutto per me significò: passeggiate da soli, serenate in spiaggia fino
alle 23, UN bacio, ed emozioni a profusione (nella mia testa!)
Ma che bellezza! Quello
che mancava ce lo mettevo io con i miei sempreverdi film mentali!
Venne il giorno della partenza.
Piansi fin dalla sera
prima.
Ci scambiammo il numero
(di casa ovviamente), la promessa di sentirci e io piansi.
Poco prima che io salissi
in macchina si tolse il suo cappellino e me lo ficcò sulla testa!
Lo tenni su fino al
casello di Bolzano.
Piansi per 515km
ripensando a Lui.
Piansi per due settimane
quando sviluppai le nostre fotografie e ci rividi insieme.
Piansi per un mese
credendo che non l’avrei più sentito.
Poi un pomeriggio di settembre mi telefonò e mi fece una serenata di un’ora con la chitarra finché non lo beccò sua madre e gli fece mettere giù il telefono. Piansi.
Poi un pomeriggio di settembre mi telefonò e mi fece una serenata di un’ora con la chitarra finché non lo beccò sua madre e gli fece mettere giù il telefono. Piansi.
Piansi fino a dicembre,
quando mi feci regalare una chitarra per Natale e provai a imparare a suonarla.
Piansi perché lui non
si faceva sentire e io suonavo male.
A gennaio smisi di
piangere perché mi piaceva un altro.
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